IL GLOSSARIO DELLA PRECARIETA’

 

Lavoro a tempo determinato

Contratto di lavoro che prevede in origine il termine della prestazione. Durante la vigenza del contratto il lavoratore è formalmente titolare di tutti i diritti e di tutte le prestazioni previste per il lavoratore assunto a tempo indeterminato e conserva per un anno il diritto ad essere richiamato al lavoro dalla medesima ditta nel momento in cui questa faccia ricorso a nuove assunzioni per la medesima qualifica.

Nel passato la facoltà del ricorso a questa tipologia di contratto era limitata a pochi specifici casi e il parametro della durata era rigido: era cioè possibile un solo rinnovo del contratto e l’eventuale prosecuzione del rapporto anche per un solo giorno oltre detto termine comportava l’automatica trasformazione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Attualmente la normativa ha esteso notevolmente l’applicabilità di questo contratto e ha reso non più perentorio il termine fissato. Ad esempio la prestazione oltre i termini prefissati non si risolve più con la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato ma con una maggiorazione della retribuzione.

 

Contratto di formazione e lavoro

Rapporto di lavoro della durata di 18 o 24 mesi instaurato, dietro presentazione e approvazione di un progetto, con persone di età compresa entro i 32 anni. Formalmente detto contratto è finalizzato a fornire il lavoratore, sia mediante una formazione teorica che attraverso l’inserimento nell’attività produttiva e lavorativa vera e propria, di una professionalità esemplificata dal passaggio da una qualifica iniziale ad una qualifica finale superiore espressamente indicate nel contratto. La differenza sostanziale tra questo contratto ed il rapporto di apprendistato è determinata dal fatto che è possibile assumere con CFL anche persone di elevato grado di istruzione (diploma di scuola superiore e laurea). Nei fatti la formazione teorica – quando realmente effettuata – si risolve in un adempimento formale e questa tipologia di contratto diviene nella sostanza una sorta di periodo di prova di abnorme durata, esente per l’azienda di contributi previdenziali, nel quale il lavoratore “spera” in una trasformazione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato al termine del CFL.

 

Apprendistato

Storico rapporto di lavoro atipico caratterizzato dal connubio tra formazione e lavoro e finalizzato alla fornitura di una qualificazione professionale a giovani privi di un  significativo grado di istruzione. La durata del rapporto di apprendistato è fissata nel Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e può raggiungere i 5 anni. L’età massima per l’instaurazione di un rapporto di apprendistato è andata lievitando nel tempo raggiungendo gli attuali 24 anni per le aree rientranti nell’Obiettivo “2” del F.S.E. (circa la metà della provincia di Frosinone). L’apprendista si caratterizza per una decurtazione della retribuzione la cui entità è prevista anch’essa nei CCNL e, di fatto, per l’esenzione contributiva della quota a carico del datore di lavoro.

La parte “formativa” del rapporto, dopo gli anni cinquanta ed i primi anni sessanta, ovvero dopo il primo decennio di applicazione della legge istitutiva dell’apprendistato, è di fatto scomparsa risolvendo questo rapporto atipico in una forma di contratto a termine, più o meno prolungato nel tempo, particolarmente vantaggioso per il datore di lavoro.

 

Lavoro interinale (in affitto)

Introdotto con il cosiddetto Pacchetto Treu, legalizza per la prima volta il prestito di manodopera. Nella sostanza l’azienda che ha bisogno di lavoratori si rivolge a specifiche agenzie autorizzate a livello nazionale che inviano il numero di lavoratori richiesto con le specifiche qualifiche. Questi lavoratori possono essere o meno dipendenti di dette agenzie. La prestazione lavorativa, che può durare da qualche giorno a qualche mese e che può essere prorogata indefinitamente, pur se prestata alle dirette dipendenze dei preposti dell’azienda e promiscuamente ai dipendenti di questa, non comporta l’instaurazione ed il riconoscimento di alcun rapporto di lavoro con l’azienda utilizzatrice.

L’avviamento in un’azienda per un periodo di lavoro in affitto non costituisce alcun titolo di precedenza per un eventuale assunzione presso questa e neanche per un nuovo avvio sempre in “affitto” presso la medesima azienda, anzi, questa può segnalare all’agenzia i lavoratori “non graditi”.

La legge rimanda ai CCNL l’individuazione dei casi consentiti di ricorso al lavoro interinale e delle qualifiche per le quali e possibile detto ricorso escludendo quelle di basso profilo professionale. Gli accordi fino ad ora già sottoscritti escludono però in pratica le sole qualifiche formalmente esistenti sulle declaratorie dei contratti ma di fatto inesistenti nelle aziende, ovvero vengono comprese nella fattispecie le qualifiche di ingresso più basse utilizzate dalle aziende.

Per quanto attiene all’individuazione della casistica che consenta il ricorso all’interinale la tendenza è a ricomprendere nelle motivazioni anche i cosiddetti “picchi” produttivi che, nell’attuale sistema di produzione “just in time” spinto, altro non sono che il terreno di scontro nell’ambito della concorrenza sul mercato giocata sul piano della flessibilità del lavoro.

 

Collaborazioni coordinate e continuative

A seguito del mutamento dell’orientamento giurisprudenziale degli ultimi anni che ha fatto discendere in maniera sempre più consequenziale l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato dalla volontà delle parti e non più dalla concorrenza oggettiva di una serie di parametri e indicatori (rispetto di un orario di lavoro, inserimento nell’organizzazione produttiva e aziendale, vincolo di subordinazione gerarchica), si è andato estendendo questo rapporto di lavoro atipico che se pone a carico del prestatore d’opera per intero gli obblighi del contratto di lavoro e cioè la prestazione lavorativa, libera il ricevente la prestazione, ovvero il datore di lavoro, di tutti i relativi obblighi imposti dalla legislazione sociale. Il lavoratore è tenuto a fornire la propria prestazione negli orari, nei luoghi e nei termini fissati, mentre a carico del datore di lavoro ricade il solo obbligo del pagamento di detta prestazione con il rilascio di una ricevuta e la trattenuta della relativa ritenuta d’acconto ai fini fiscali.

Il collaboratore coordinato e continuativo, in quanto lavoratore autonomo, non ha diritto ai contributi previdenziali, alle ferie, alla gratifica natalizia, all’indennità di malattia, ecc., e, naturalmente, alla conservazione del “contratto” al termine della sua scadenza.

 

Borse Lavoro e Piani di inserimento professionale

Questi due fattispecie non ricadono nella tipologia dei rapporti di lavoro: i “giovani” entro i 32 anni impiegati erano, sono e rimangono disoccupati o inoccupati. Su istanza approvata dell’azienda che non deve aver effettuato licenziamenti per riduzione di personale nell’ultimo anno e che deve occupare stabilmente più di tre dipendenti, il collocamento invia il numero di disoccupati richiesto che viene (o, meglio, dovrebbe essere) impiegato per 20 ore a settimana nella normale attività lavorativa dell’azienda. Questi lavoratori, non comportano alcun onere a carico dell’azienda, ricevono un assegno/sussidio dall’INPS rispettivamente di L.800.000 e L.640.000, senza, ovviamente, alcun riconoscimento dell’attività svolta ai fini previdenziali. La durata delle borse lavoro e dei piani di inserimento professionale varia dai dieci ai dodici mesi. Al termine della borsa lavoro o del piano di inserimento professionale l’azienda conserva la possibilità di instaurare con il giovane un qualunque rapporto di lavoro, ivi compreso un CFL della durata di 24 mesi.

 

Lavoratori Socialmente Utili / Lavoratori di Pubblica Utilità

Nascono come ammortizzatore sociale per i lavoratori espulsi dal sistema produttivo attraverso l’istituto della mobilità ma si estendono in breve tempo alla categoria dei disoccupati e degli inoccupati di lunga durata, ovvero con oltre 24 mesi di iscrizione nelle liste di collocamento. La distinzione tra socialmente utili e di pubblica utilità è legata alla tipologia del progetto in base al quale il disoccupato è stato avviato. I lavoratori di pubblica utilità, introdotti nel dicembre 1997 dal decreto legislativo 468, sono quelli avviati in progetti finalizzati alla creazione di società in cui inserire parte dei lavoratori al termine delle attività finanziate.

I progetti LSU/LPU sono presentati da enti pubblici (Ministeri, Comuni, Provincia, Comunità montane, ecc.) e dovrebbero occupare, per un sussidio mensile erogato dall’INPS per conto del Fondo per l’Occupazione di L. 850.000 lorde, i disoccupati avviati per 20 ore a settimana nella fornitura dei servizi complementari ed aggiuntivi  previsti nel progetto presentato dall’ente. Nella realtà da anni questi precari vengono utilizzati nella stragrande maggioranza (come hanno del resto riconosciuto in mozioni approvate all’unanimità sia il Consiglio Provinciale che il Consiglio Comunale di Frosinone) a copertura delle carenze d’organico degli enti, ad esempio come personale ausiliario nelle scuole o come addetti ai servizi cimiteriali, e, specie nei comuni più piccoli, per lo stesso funzionamento degli uffici comunali. Benché cioè la legge escluda espressamente l’impiego di questi precari in attività e servizi sostitutivi di quelli già erogati direttamente o tramite appalti dall’ente - e ciò fondamentalmente per evitare un’evidente turbativa nel relativo mercato del lavoro - gli LSU/LPU sono impiegati di fatto proprio come strumento di precarizzazione dello stesso pubblico impiego e le società  previste per la ti